QUARANTENNALE TESTIMONIANZA DI PATRIZIA MINATTA

Questa splendida testimonianza in versi di Patrizia Minatta, con la quale ho esordito sulle scene d’antan e con la cui fedele e affettuosa complicità ho attraversato fino ad oggi innumerevoli luoghi ed erranze di un’avventura che non muore e che sempre rinasce come araba fenice, ripercorre molte delle diverse esperienze di vita e di scena che insieme abbiamo vissuto sotto il segno del Teatro dell’Appeso, sotto il segno dell’amore della poesia e del teatro, della ricerca e del rigore, della stima reciproca, dell’amicizia vera.
Amedeo di Sora

“INVECE DI UNA STORIA”

Eravamo padri eravamo figli
di un tempo mai nato
in attesa di noi,
Orfeo e Euridice fratelli di polvere
nel buio trafitto
dal Fuoco Fatuo del sogno.
Intendo, dicevo con gli occhi
in risposta al lampo dei tuoi
tra veli strappati di carta
arsa alla fiamma della fonè
ll tempo piantato nel giardino delle parole
sbocciava in lettere e punti intrecciati
faville di versi
orditi di filo spinato
con aghi aspirati
in silenzio e forme taciute

Eravamo lontano
da tutte le sponde del mare,
in tormenta
naufraghi assenti
sulla Zattera della Medusa
Fasmate a cercare sodali
di gesta e di guerre
alla corte di Artaud,
di fronte a occhi aperti nel buio
su scene incomprese
e folli di eroi

Poi la trance di Dino e Sibilla
asciugati dal verso
per rinascere vivi
in posti accordati di rime
e occhi congiunti nell’arcano
di ogni luogo mutato a teatro
All’ombra di Cesare
che amava il vapore di fiati
in combutta
e occhi in attesa di occhi
eravamo piante dormienti
per essere gemme di vita
lasciate in germoglio
nel cuore divino
dei pochi segnati
dal rosso della passione

Ricordi, sì mi ricordo
Il saluto discreto a Marcello
uno fra noi che ha sognato
la vita dolce
in terra agra di grazia
Eravamo un cesto di libri plasmati
in anni di arte e di argilla
o in cuori di donne
armati dalla voce in frantumi
del poeta del canto profondo
errante tra muerte ed amor

Ridevamo calata la maschera
tornavamo bambini
con anime forti
e braccia piantate in scalata
su sdrucciole
con passi gelati
che lasciano orme sorelle
nel cuore di Albert
“c’est moi, voici mon nom”
a parlare per noi
di malintesi e tragedie
Siamo ancora dietro la porta
Oh Maria
in ascolto del cuore di Vladimir,
che bussa e batte per te,
il tempo ancora pieno di storie
pescate al trabocco proteso nel vento
I nostri piedi i pali
Infissi nell’acqua
noi pronti a raccogliere versi
parole tradotte in silenzi
dal fondo sacro del mare

Patrizia, 02/08/2021

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